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La fuga dei giovani è la nuova paura

Si registra, soprattutto nelle nazioni europee meno ospitali nei confronti dei migranti che sono soprattutto profughi, non dimentichiamolo, la crescita di un fenomeno inverso, dell’emigrazione dei cervelli, giovani costretti ad andare all’estero per esercitare le professioni per cui hanno studiato tanto. Aumentano italiani, polacchi, ungheresi — ma anche di spagnoli o rumeni — l’emigrazione dei propri connazionali preoccupa più dell’arrivo degli stranieri. Nel caso dell’Italia, sono due su tre gli abitanti che vedono nella fuga dei propri giovani all’estero una minaccia superiore o almeno altrettanto grande rispetto all’immigrazione. Qualcosa si sta muovendo in profondità negli umori del Paese e dell’intera fascia di fragilità sociale lungo il fianco sud e orientale dell’Unione europea.

Sono le nuove paure dei cittadini che emergono da un sondaggio che, per la prima volta, pone agli elettori di quattordici Paesi dell’Unione una domanda impensabile fino a pochi anni fa: è più l’immigrazione o l’emigrazione che li tiene svegli la notte? L’indagine è stata condotta fra fine gennaio e fine febbraio su 46 mila europei (dei quali 5 mila italiani) da YouGov per conto dello European Council on Foreign Relations. E i risultati fanno emergere ragioni di stress fra gli elettori che non rispecchiano gli slogan della campagna elettorale per le europee. In Italia il 32% degli elettori è più preoccupato dall’emigrazione dei connazionali, mentre solo il 24% lo è per l’ingresso di sempre nuovi stranieri. In Romania, che vede ormai un quinto della popolazione all’estero, il rapporto è di 55% a 10%. In Ungheria il 39% è più impensierito dall’emigrazione dei propri figli e solo il 20% lo è dall’immigrazione: poco importa che dell’ostilità agli stranieri Fidesz, il partito al potere, faccia ormai la propria ideologia ufficiale. Persino in Spagna, malgrado anni di ripresa, coloro che sono più impensieriti dalla fuga all’estero dei propri connazionali sono il doppio rispetto all’altro gruppo. E in Polonia, anch’essa guidata da un governo dagli accenti xenofobi, la dinamica è simile. È come se gli elettori in Italia e altrove stessero cercando di dire ai loro politici che le linee di frattura non sono quelle fra sovranisti e liberali di cui molti parlano. Emergono paradossi invisibili al dibattito fra partiti, assenti dai talk show della sera.