Per l’Antimafia siciliana l’attentato fallito contro Giuseppe Antoci, la notte tra il 17 e il 18 maggio di tre anni fa, fu più una messa in scena – cioè una «simulazione» di cui la vittima fu «strumento inconsapevole» – che un agguato mafioso. La commissione non scarta neppure l’atto dimostrativo orchestrato per mettere paura all’allora presidente del Parco dei Nebrodi che si batteva contro la mafia dei pascoli: ma comunque tra le tre ipotesi, che per l’Antimafia rimangono valide, la meno plausibile è che si sia trattato di un attacco di Cosa nostra. In tutti e tre le ipotesi, comunque, Antoci è per i commissari una vittima.

L’Antimafia «più che esprimere conclusioni certe e definitive» dà atto «delle molte domande rimaste senza risposta, delle contraddizioni emerse e non risolte, delle testimonianze divergenti, delle criticità investigative registrate». Dopo le audizioni – avendo analizzato le testimonianze, letto gli atti dei pm e il decreto di archiviazione dell’inchiesta che riguardava all’inizio 14 indagati – la Commissione critica le indagini, le procedure operative della scorta subito dopo l’agguato, mette in dubbio testimonianze di esponenti delle forze dell’ordine, ritenendo non comprensibili alcuni comportamenti come quelli del vicequestore aggiunto Daniele Manganaro che sarebbe arrivato sul luogo dell’attentato poco dopo l’esplosione dei colpi di fucile, sventandolo.