«Maria Grazia Cutuli è stata anche definita una “martire della verità”, perché in trincea raccontava la guerra con penna, taccuino e inchiostro. Gli strumenti di lavoro dei giornalisti, pur non essendo propriamente delle armi, a qualcuno danno più fastidio dei fucili. Così Maria Grazia ha pagato la sua passione e il suo coraggio con la vita. Ecco perché a distanza di vent’anni dalla sua uccisione la ricordiamo come un esempio virtuoso della nostra categoria professionale». Questo il ricordo di Maria Grazia Cutuli di Roberto Gueli, presidente dell’Ordine dei giornalisti Sicilia.Maria Grazia Cutuli era nata a Catania, dove aveva mosso i primi passi come giornalista, percorrendo la difficile strada del precariato, prima di giungere a Milano. Come inviata del Corriere della Sera era partita verso il Medio Oriente all’indomani degli attentati alle Torri Gemelle. Il 19 novembre 2001 fu barbaramente uccisa in Afghanistan assieme ad altri tre giornalisti: l’australiano Harry Burton e l’afghano Azizullah Haidari, entrambi corrispondenti Reuters, e lo spagnolo Julio Fuentes, giornalista del Mundo. Negli anni le indagini hanno cercato, faticosamente, di arrivare ad una verità per individuare gli autori dell’agguato. Il 29 novembre del 2017 la Corte d’assise ha condannato due cittadini afghani ritenuti appartenenti al commando di killer: Mamur e Zar Jan, entrambi di etnia Pashtun. Ventiquattro anni di reclusione la pena inflitta per i due imputati all’epoca detenuti in patria dove, per l’agguato stavano scontando rispettivamente 16 e 18 anni di reclusione. La Corte d’assise ha inflitto ai due imputati, che ascoltarono il verdetto tramite collegamento in videoconferenza, anche il risarcimento danni ai familiari della giornalista e alla Rcs. Per i due imputati, a distanza di un anno, la sentenza venne confermata anche in appello.