08. Ficarrisi ‘Nfurna-cannili Anche questo soprannome l’ho scoperto da un modo di dire che
usava mia nonna: “Chistu sì chi è veru Diu! Pisciò ‘nto furnu e si nni ìu!” (Questo sì che è vero Dio!
Ha pisciato nel forno ed è scappato!). Mia nonna lo riferiva ad una persona che si credeva tanto
intelligente, ma in realtà era una mezza calzetta.
La stessa storia esiste anche nel paese di Ucria dove, invece della cera, per costruire il Bambin
Gesù viene utilizzata la neve.
08. Ficarrisi ‘nfurna-cannili
testo di Oriana Civile
È Natali e â Ficarra
u prisepiu si pripara.
Tutt’assemi si mitteru,
si travagghia paru paru.
Cu pripara i pastureddi,
cu li Magi e i ‘numaleddi,
lu boj cu sciccareddu,
la Madonna cu manteddu.
Pippineddu fa u Bamminu
cu la cira di l’apuzzi;
a travagghia bella fina
cu la fidi e li manuzzi.
Stenni, rasca, stira e ‘ntagghia,
liscia, arriccia, spalma e squagghia;
u trafuc’un ci manca,
u travagghiu nun lu stanca.
Passa i jorna a trafichiari;
la fiùra a voli bella.
U Bamminu di prijari
av’a essiri una stella!
U finìu, u Gran Divinu,
cu la facci d’anciuleddu,
cu lu visu duci e finu
di lu nostru Bambineddu.
U travagghiu fu gluriusu!
A rinisciuta fu riali!
Ora basta ‘na tinciuta
pi fallu tali e quali.
‘Na cositta no’ cunvinci:
è troppu jancu stu pupiddu,
ci vulissi mi lu tinci
commu u pani quann’è ‘ngriddu.
Accussì ‘dduma lu furnu
e lu porta jancu jancu.
Passa paru lu scupazzu
pi livari u cinnirazzu.
‘Nfurna u pupu cun Amuri,
‘na ‘razioni p’u Signuri.
Ora coci lentu lentu;
nescirà nu gran purtentu!
08. Ficarresi inforna-candele
testo di Oriana Civile
È Natale e a Ficarra
si prepara il presepe.
Si son messi tutti insieme,
si lavora a tutto spiano.
Chi prepara i pastorelli,
chi i Magi e gli animaletti,
il bue e l’asinello
la Madonna col mantello.
Giuseppuccio fa il Bambino
con la cera delle apette;
la lavora finemente
con la fede e le manine.
Stendi, raschia,stira e intaglia,
liscia, arriccia, spalma e scioglie;
L’impegno non manca,
il lavoro non lo stanca.
Passa le giornate a lavorare;
la figura la vuole bella.
Il Bambino da pregare
dev’essere una stella!
L’ha finito, il Gran Divino,
con la faccia d’angioletto,
con il viso dolce e delicato
del nostro Bambinello
Il lavoro è stato glorioso!
Il risultato reale!
Ora basta tingerlo un po’
per farlo tale e quale.
Una cosa non lo convince:
è troppo bianco questo pupetto,
sarebbe necessario colorarlo
come il pane poco cotto.
Così accende il forno
e lo fa diventare bianco bianco*.
Lo pulisce con la scopa di palma
per eliminare tutta la cenere.
Inforna il pupo con Amore,
un’orazione per il Signore.
Ora cuoce lento lento;
ne uscirà un gran portento!Quannu japri adaciu a ucca,
resta loccu ‘i maravigghia;
‘un ci cridi chi trabucca,
ca la cira ô cautu squagghia:
“Chistu sì chi è veru Diu!
Pisciò ‘nto furnu e si nni ìu!”
Fu a chiusura di sta storia
chi si cunta ancora all’aria.
* ‘ngriddu: dicesi di pane, pasta, riso ecc.
cotti meno del giusto punto
Quando apre piano la porta del forno,
resta sbigottito;
non ci crede che tracima,
che la cera col calore si scioglie.
“Questo sì che è vero Dio!
Ha pisciato nel forno ed è scappato!”
È la fine di questa storia
che si racconta ancora nell’aia.09. Attilio manca – Lamentu pi la morti di Attilio Manca Il 12 febbraio del 2004 […] il giovane
urologo siciliano venne ritrovato cadavere nel suo appartamento a Viterbo. Il corpo presentava
evidenti segni di colluttazione mentre dal naso era uscita una considerevole quantità di sangue. Da
quella scena straziante iniziò uno dei casi di cronaca più sconcertanti della storia della nostra
Repubblica reso ancor più sinistro dalle innumerevoli menzogne raccontate dal potere.
Dipinto come un tossicomane morto suicida per un’overdose causata da un mix di droga e farmaci
autoinoculati, Attilio fu oggetto di scherno e di derisione in primis da coloro che avrebbero dovuto
ricercare la verità. […] E i due buchi nel braccio sbagliato, lui che era un mancino? Quisquilie.
L’assenza delle sue impronte dalle due siringhe ritrovate con tanto di cappuccio salva-ago inserito?
Dettagli insignificanti. Il suo computer? Sparito. Il suo appartamento? Quasi completamente pulito a
lucido da impronte. […]
E poi ancora, non c’è spiegazione alla “sparizione” di una telefonata di Attilio dei mesi
gennaio-febbraio 2004 giunta ai genitori qualche giorno prima della morte e poi c’è quell’inquietante
“coincidenza” dell’operazione alla prostata di Bernardo Provenzano a Marsiglia negli stessi giorni in
cui Attilio si spostò in Francia “per lavoro”. Altra “coincidenza” è quella del mafioso Francesco
Pastoia che morì suicida in carcere il 28 gennaio 2005 dopo essere stato intercettato mentre parlava
di un urologo che avrebbe visitato Provenzano nel suo rifugio da latitante in convalescenza. La
morte di Attilio Manca è quindi avvolta dalla stessa coltre nera che ha permesso la latitanza di
Bernardo Provenzano. E tante altre sono le ombre sulla scena del caso Manca, ma una più di tutte è
la più sinistra, quella dello Stato.
L’articolo completo è qui:
https://www.antimafiaduemila.com/home/mafie-news/309-topnews/88016-in-memoria-di-attilio-manc
a-e-della-tenacia-di-una-madre-in-cerca-della-verita.html
Questa mia lamentazione è “uscita” tutta d’un fiato ed è dedicata a mamma Angela, a papà Gino e a
Luca, fratello di Attilio, che ancora aspettano Giustizia. La Verità, invece, non può essere che una
sola, anche se lo Stato Italiano fatica a scriverla nero su bianco.
09. Attilio manca
Lamentu pi la morti di Attilio Manca
testo e musica di Oriana Civile
Attiliuzzu, cona d’oru,
comm’e fari senz’i tia?
Mi lassasti sula e moru
commu cani a la stranìa.
Haju persu lu mè figghiu,
pi me nun c’è cunsolu.
Cercu paci c’u scuppiddu,
trovu pena, chiantu e dolu.
Delinquenti, vili e crasti,
m’arrubbastu ‘nto jardinu,
ma si esisti u Diu Celesti
iò cu iddu e vui ‘n ruina!
Oh, mè figghiu onestu e piu,
eri un bravu duttureddu
e(r) apposta ti finìu
a malasorti, puvureddu.
I mafiusi e u statu riu
cumminaru a pantomima;
ti trattaru di Giudeu
e accussì agghiurnò a matina:
09. Attilio manca
Lamentazione funebre per la morte di Attilio Manca
testo e musica di Oriana Civile
Attiliuccio, icona d’oro,
come devo fare senza di te?
Mi hai lasciato sola e muoio
come cane in terra straniera.
Ho perso mio figlio,
per me non c’è consolazione.
Cerco pace con lo scuppiddu*,
trovo, pena, pianto e dolore.
Delinquenti, vili e cornuti,
mi avete rubato nel giardino,
ma se esiste il Dio Celeste
io con lui e voi in rovina!
Oh, figlio mio onesto e pio,
eri un bravo medico
e per questo ti è finita
male, poverino.
I mafiosi e lo Stato rio
han messo su la pantomima;
ti hanno trattato da Giudeo
e così ti ha trovato il giorno:pistatu sutt’ê peti,
cu la facci tratturata,
l’ossa rutti e chin’i sangu.
Suicidio: è la pinsata!
‘Un ci bastò mi t’ammazzaru;
la calunnia ci mancava.
Pi falla bona s’invintaru
ch’Attiliuzzu si drogava.
Oh, bastardi senza cori,
Figgh’i matri snaturata!
Iò vi mannu ‘u mè duluri
c’a spiranza ormai siccata
di lu chiantu di ‘na matri
ch’avi sulu di patiri.
Ristavi sula cu to’ patri
e to’ frati ‘un sa’ chi diri.
Giustizia vurrìa ‘nterra
ma nun sacciu commu fari.
La to’ bara si sutterra
c’a virità e u malaffari.
Attilo manca
commu l’aria ‘nta pirrera.
Attilio manca
commu a luci senza a luna.
Attilio manca
commu u cori ‘nto pettu d’i mafiusi.
Attilio, Attilio manca
commu u ciatu a ‘na matri stanca!
*Scuppiddu: ramo secco, stecco che si usa per togliere
le nocciole incastrate nel terreno
pestato di botte,
con la faccia spaccata,
le ossa rotte e pieno di sangue.
Suicidio: è la trovata!
Ammazzarti non gli è bastato,
la calunnia ci mancava.
Per farla per bene si sono inventati
che Attiliuccio si drogava.
Oh, bastardi senza cuore,
figli di madre contro natura!
Io vi mando il mio dolore
con la speranza ormai seccata
dal pianto di una madre
a cui non resta che soffrire.
Son rimasta sola con tuo padre
e tuo fratello non sa che dire.
Vorrei Giustizia in terra
ma non so come fare.
La tua bara si sotterra
con la Verità e il malaffare.
Attilio manca
come l’aria in miniera.
Attilio manca
come la luce nel Novilunio.
Attilio manca
come il cuore nel petto dei mafiosi.
Attilio manca
come il respiro a una madre stanca!10. Claudio e Luciano Claudio e Luciano Traina sono due fratelli.
Nel 1992 Claudio è stato trasferito a Palermo da poco tempo ed è agente di scorta di un leader di
un’associazione antiracket, Costantino Garraffa, che nei fine settimana non è quasi mai in città e
perciò Claudio il sabato e la domenica viene utilizzato come jolly a disposizione di chi serve. Il 17
luglio, venerdì, chiama suo fratello Luciano col quale condivide la passione della pesca e lo invita
ad andare a pescare la domenica successiva, il 19 luglio. Partono di buon ora, ma intorno alle 09:00
Claudio dice al fratello che alle 14:00 deve rientrare in servizio, deve fare una scorta. Luciano si
risente un po’ perché uscire per tre ore in barca “non ne vale la pena”, ma Claudio risponde che
voleva stare un po’ con lui da solo in mare. Prima di andarsene, gli dice: “Mi raccomando, stasera
riunisci la famiglia, ci vediamo tutti a casa di mamma”. Claudio quel giorno sostituiva un agente
della scorta del Dottore Paolo Borsellino. Muore a 26 anni in Via d’Amelio dilaniato dal tritolo.
Luciano è un agente della sezione catturandi della Squadra Mobile di Palermo. Anche lui poliziotto,
anzi è il tipo di poliziotto a cui suo fratello Claudio, di tanti anni più piccolo, si è sempre ispirato,
anche se fanno lavori diversi. Luciano il 20 maggio 1996 è nella squadra che ha catturato Giovanni
Brusca. Entra per primo nel covo del latitante dopo due giorni di appostamento senza neanche
mangiare. Il giorno dopo della cattura viene chiamato dal Questore di Palermo e mandato in
Sardegna, per motivi di sicurezza; pende una taglia sulla sua testa. Col senno del poi, Luciano
ricostruisce tutto e realizza che il Questore di allora, Arnaldo La Barbera (che è stato addirittura
promosso per aver messo in atto depistaggi e insabiamenti su Via d’Amelio) lo manda in Sardegna,
non per proteggerlo, ma per punizione. In vacanza prima, in pensionamento anticipato dopo. Le
“menti raffinatissime” di cui parlava Falcone avevano voluto mandare Luciano Traina a catturare
Giovanni Brusca, pensando che il poliziotto, trovandosi davanti a uno dei responsabili della morte di
suo fratello, lo avrebbe ucciso per vendetta. Brusca doveva morire per evitare che diventasse
collaboratore di giustizia; avrebbe avuto troppe cose da dire, troppi insospettabili da coinvolgere.
Ma Luciano è un uomo per bene, è un poliziotto, e così “si limita” a fare il suo dovere, a catturare un
latitante, un uomo seminudo e disarmato che gli fa persino schifo quando lo vede in quelle
condizioni. Per questo motivo, per aver fatto il suo dovere, abbiamo perso un valoroso servitore
dello Stato, mentre un traditore dello stesso Stato veniva promosso fino ad ottenere persino la
decorazione di commendatore dell’Ordine al merito della Repubblica italiana. Luciano adesso
continua a portare avanti la memoria di Via d’Amelio e continua a raccontare la sua storia a tanti
ragazzi che lo stanno a sentire con le lacrime agli occhi; spiega loro cosa significa stare dalla parte
giusta, parla di giustizia e del valore delle Istituzioni, anche se, confessa, a volte gli sembra di
prenderli in giro. “Io ci credo poco” dice “ma loro devono crederci.”
http://ilformat.wwwnl1-ss17.a2hosted.com/2018/01/30/luciano-traina-quel-19-luglio-claudio-mi-disse-
stasera-riunisci-la-famiglia/
10. Claudio e Luciano
testo e musica di Oriana Civile
“Chi dici, fratuzzu, nni jemu a piscari?
Dumani è duminica e m’ê rilassari.
Si mori d’u cautu e poi nun travagghiu;
‘mmuttamu n’anticchia stu misi di lugliu!”
All’arba partemu, pigghiamu lu largu.
Lu mari è tavula di cira e ogghiu,
lu cielu nn’arridi ca pari di zucchuru,
i pisci di testa ‘nta varca si jettunu.
“Claudiuzzu, chi hai? C’è cosa? Hai pinseri?”
“No, sugnu bonu, però ti ll’ê diri:
mi canciaru lu turnu di scorta ô Dutturi,
l’ê puttari ‘mPalermu e dui mi nn’ê ghiri.”
10. Claudio e Luciano
testo e musica di Oriana Civile
“Che dici, fratellino, andiamo a pescare?
Domani è domenica e mi voglio rilassare.
Si muore dal caldo e poi non lavoro;
affrettiamo un po’ questo mese di luglio!”
All’alba partiamo, prendiamo il largo.
Il mare è una tavola di cera e olio,
il cielo ci sorride che sembra di zucchero,
i pesci si buttano di testa sulla barca.
“Claudiuccio, che hai? Hai pensieri?”
“No, sto bene, però devo dirtelo:
mi hanno cambiato il turno di scorta al Dottore,
devo portarlo a Palermo, alle due devo andare!Nni salutamu e mi dici ridennu:
“A te iò, mè frati, mi raccumannu:
chiamali tutti, raduna a famigghia
e bella ‘nfucata haju a truvari a radigghia.”
‘Nfucata però trovu iò la sò carni
strazzata d’a bumma di ddi malacarni.
A pizzudda u ricampu ddu niuru cimeliu
supra l’asfaltu di la via D’Ameliu.
U suli di lugliu annigghiatu d’u fumu,
l’aria ‘nfittata di ddu forti profumu
di carni ‘rrustuta, di pubbiri e morti;
pi stari ccà ci voli u stomucu forti!
Caminu e mi pari di stari ‘nta barca,
ma non su’ pisci chi pistu ca scarpa:
sunnu cristiani sappati ‘nta ll’ariu;
‘ntra iddi mè frati; si chiamava Claudiu!
Vintisei anni e la vita davanti.
D’allura la mamma si pinna di chianti
davanti a ‘na cascia ch’è china di nenti;
suspira, talìa ‘ntunnu e ‘nghiutti ‘nvacanti.
A me, si ti pensu, si jincunu l’occhi
di lacrimi amari, maravigghiati e locchi
pi lu dustinu ‘nfami ch’a tia ti tuccò
e pi cauci ‘nte denti chi mi pigghiavi iò.
Servire lo Stato si fa per missione,
non per vendetta né per ritorsione;
ma chistu purtroppu non vali pi tutti,
la Corti d’Assisi ormai nni lu dissi.
Iò, pari stranu, ma ancora cci crìu:
U Statu non è sulu u schifu chi vìu.
Ci salutiamo e mi dice ridendo:
“A te, fratello mio, mi raccomando:
Chiamali tutti, raduna la famiglia
e bella infuocata devo trovare la graticola.”
Infuocata però trovo io la sua carne
squarciata dalla bomba di quei delinquenti.
A pezzi lo raccolgo quel nero cimelio
sopra l’asfalto di via D’Amelio.
Il sole di luglio annebbiato dal fumo,
l’aria infettata da quel forte profumo
di carne arrostita, di polvere e morte.
Per stare qua ci vuole lo stomaco forte.
Cammino e mi sembra di stare sulla barca,
ma non sono pesci quelli che pesto con la scarpa:
sono persone saltate in aria;
tra loro mio fratello; si chiamava Claudio!
Ventisei anni e la vita davanti.
Da allora la mamma si dispera
davanti a una bara piena di niente;
sospira, guarda nel vuoto e inghiotte bocconi amari.
A me, se ti penso, si riempiono gli occhi
di lacrime amare, attonite e incredule
per il destino infame che ti è capitato
e per i calci nei denti son toccati a me.
Servire lo Stato si fa per missione,
non per vendetta né per ritorsione;
ma questo purtroppo non vale per tutti,
la Corte d’Assise ormai l’ha sancito.
Io, sembra strano, ma ancora ci credo:
Lo Stato non è solo lo schifo che vedo.11. ‘Na nuci Per questo brano ho preso spunto da una vicenda realmente accaduta ai miei nonni. A
tutti capita di dover fare qualcosa, ma dimenticarsene per i troppi pensieri o le troppe cose da fare
o per semplice sbadataggine. Così la convivenza, in qualche modo, ne risente.
11. ‘Na nuci
testo e musica di Oriana Civile
Ti scappunu i cosi di menti…
Commu a me nannu, ‘na vota, ‘nnuccenti,
chi me nanna du latti cci raccumannò
e, commu a pecura ô lupu, cciù puttò.
Me nannu, mischinu e valenti,
‘na nuci si pigghiò, prividenti,
chi ‘nta sacchetta cci avissi ricurdatu
‘nzoccu so mugghieri cci aveva cumannatu.
‘Nfaccinnatu pi tutta a matinata,
jiu ‘nta roba p’accucchiari la junnata.
‘Nto manzijonnu, stancu e affaticatu,
s’appuiò a n’abburu, sudatu.
Zziccannu ‘na manu nta sacchetta,
truvò ‘na nuci menz’apetta:
“Chi cci faci ccai sta bedda nuci?”
s’a scacciò e chi era duci.
Accussì, ‘u latti
me nannu s’u scuddò
e mè nanna, poi, a casa,
c’u marriuggiu ‘u ssicutò!
Ma si puru, ‘n’sa ma’ Diu,
si ll’avissi ricurdatu,
‘nta cchianata cu lu latti
iddu s’avissi abbiviratu.
Cc’è picca ‘i fari!
Un omu no po’ cummannari!
Puru si eni ‘u megghiu d’û munnu,
all’ura di subbizza t’â taliari ‘ntunnu:
si c’eni un omu e peti peti,
lassa peddiri e mettiti a sedi.
Si sini omu, ascuta a mia,
dicci a fimmina chi è malatia:
“’Un si poti sempri arrubbazzari;
ogni tantu fammi rripusari!”
11. Una noce
testo e musica di Oriana Civile
Capita che ti dimentichi le cose…
Come a mio nonno una volta, innocente,
ché mia nonna gli raccomandò di comprare il latte
e, come la pecora al lupo, lui gliel’ha portato.
Mio nonno, poverino e saggio,
prese una noce, previdente,
che in tasca gli avrebbe ricordato
ciò che sua moglie gli aveva comandato.
Indaffarato per tutta la mattina,
andò in campagna a lavorare.
A mezzogiorno, stanco e affaticato,
si appoggiò a un albero, sudato.
Mettendo una mano in tasca,
trovò una noce mezza aperta:
“Che ci fa qua, questa bella noce?”
la schiacciò e… com’era dolce.
Così mio nonno
si è dimenticato del latte
e mia nonna poi a casa
lo inseguì col bastone!
Ma se anche
se lo fosse ricordato,
nella salita con il latte
si sarebbe dissetato.
C’è poco da fare!
Un uomo non lo puoi comandare!
Anche se è l’uomo migliore del mondo,
durante faccende ti devi guardare intorno:
se c’è un uomo in giro,
lascia perdere e mettiti a sedere.
Se sei uomo, ascoltami,
dici alla donna che è malattia:
“Non si può sempre rassettare;
ogni tanto fammi riposare!”12. U boi e u Sciccareddu Un classico: il bue che dice cornuto all’asino. Una storia antica come il
cucco! Una prevaricazione talmente evidente che non smetterà mai di esistere perché non
smetteranno mai di esistere la prepotenza del più “forte” sul più debole, l’arroganza, il pregiudizio e
il silenzio complice e colpevole di chi dovrebbe far notare al bue che le corna è lui a portarle sulla
testa. D’altronde chi lavora umilmente, con rispetto e dignità, commu ‘nu sceccu, da sempre è
soggetto ai soprusi di chi si crede superiore, e per sempre lo sarà. L’importante è essere
consapevole del proprio valore e del proprio operato. Tanto, prima o poi, al bue pruderanno; sentirà
il bisogno di grattarsi e allora, raspannusi i corna, scoprirà di averle!
U boi chi cci dici curnutu ô sceccu è un paradosso destinato a ripetersi fino alla fine del mondo!!!
12. U boi e u Sciccareddu
testo e musica di Oriana Civile
U Boi e u Sciccareddu
si spattèunu lu sonnu
di quannu fu d’u Bambineddu,
sempri insemi travagghiannu.
Commu fu commu non fu,
u Boi un jornu s’ammattìu:
“Cosa inutili si’ tu!”
cci dissi ô Sceccu e si nni ju!
‘Ncuntrava u jaddu e cci diceva:
“Nn’avi mai fattu nenti!
S’unn’era iò chi dirigeva,
manciava pagghia sulamenti!”
‘Ncuntrava u beccu e puru a iddu:
“U Sceccu nenti ha mai saputu!
Tuttu chiddu chi ora sapi,
grazii a me l’ha canusciutu.
Nenti sapi fari!
Cci ‘nsignai puru a ragghiari.
Ora m’arrobba lu travagghiu
e cu lu mè si faci beddu!”
La cosa gravi quali fu?
Nuddu d’î ‘numali amici so’
appi u curaggiu m’u pigghiava,
mi cci diceva chi sbagghiava,
accussì u Boi si cunvincìu
ca era spertu e avanti ìu!
I suverchiarè chi cci fici
foru tanti, mali e tinti,
ma lu Sceccu in dignità
u so’ travagghiu continuà.
U Sciccareddu di sti ‘nsurti
pigghiò forza e altrui rispettu
canciannu u mali in beni
d’u boi chi dici curnutu ô sceccu.
Senza dari cuntu
a la ‘nvidia e a la ‘gnuranza,
sciglìu ‘i taliari avanti
senza daricci ‘mpurtanza.
12. Il bue e l’Asinello
testo e musica di Oriana Civile
Il Bue e l’Asinello
erano grandi amici (lett. si dividevano il sonno)
dai tempi di Gesù Bambino,
lavorando sempre insieme.
Come fu come non fu
un giorno il Bue impazzì:
“Sei una cosa inutile!”
disse all’asino e se ne andò!
Incontrava il gallo e gli diceva:
“Non ha mai fatto niente!
Se non era per me che dirigevo,
mangiava paglia solamente!”
Incontrava il caprone e pure a lui:
“L’Asino non ha mai saputo niente!
Tutto quello che sa
gliel’ho insegnato io.
Non sa fare niente!
Gli ho insegnato pure a ragliare.
Ora mi ruba il lavoro
e si vanta delle mie cose!”
Quale fu la cosa grave?
Nessuno dei suoi amici animali
ha avuto il coraggio di prenderlo da parte,
di dirgli che stava sbagliando,
e così il bue si convinse
che era scaltro e andò avanti!
Le sopraffazioni che gli fece
sono state tante, crudeli e cattive,
ma l’Asino, in dignità,
continuò a fare il suo lavoro.
L’Asinello da questi insulti
prese forza e rispetto altrui
cambiando il male in bene
del bue che dice cornuto all’asino.
Senza dare credito
all’invidia e all’ignoranza,
scelse di guardare avanti
senza dargli importanza.U jimmurutu ‘nmenzu a via
u so’ jimmu un s’u talìa
e tutti ranni nni sentemu
si chi cammuci nni juncemu.
Un cunigghieddu a quistioni risurbìu.
Cu so’ fari dilicatu dissi:
“Mah! Nô sacciu iu…
Quantu sini sfurtunatu!?
Commu fa’ cu ssi gran baddi
ad avriri ssi gran corna?
Nuddu ti l’ha dittu?
U curnutu è binidittu!
U curnutu è furtunatu:
non è Re ma è ‘ncurunatu!”
Il gobbo
la sua gobba non la vede
e ci sentiamo tutti grandi
se ci confrontiamo con la mediocrità.
Un coniglietto ha risolto la questione.
Col suo fare delicato disse:
“Mah! Io non lo so…
Quanto sei sfortunato…
Come fai con quelle palle così grandi
ad avere quelle corna così grandi?
Nessuno te l’ha detto?
Il cornuto è benedetto!
Il cornuto è fortunato:
non è Re ma è incoronato!”13. Unni sini È il mio personale inno alla Solitudine, compagna inseparabile e fondamentale nella
mia vita soprattutto nel momento della creazione.
Nello sviluppo del brano questa solitudine si evolve in un atto di autoerotismo, in cui lui (o lei) si
identifica in una immaginaria presenza che lascia spazio alla fantasia erotica più di quanto farebbe
un reale contatto.
13. Unni sini
testo e musica di Oriana Civile
Quantu manchi quannu sini tu luntan’i mia?
Mancu Cristu sapi diri cchiù l’Avi Maria
e lu pettu batti forti ‘nto casciuni di la vita
e u pinseri si cunfunni ‘nni la testa ormai ‘mpazzita.
S’avissi li to’ cianchi i vulissi iò ‘ncagghiari
‘nte mè peti spasimanti chi non vonnu arripusari.
Li mè mani s’arrimoddunu di sudura chi trasuda
e dda sutta canta e grida la ferita che ora è viva.
Ciumi jancu, scurri e vola ‘nta lu pettu e la ‘ncinagghia;
scinni lentu e forti abbrucia, pari cira ca si squagghia.
Mi consolo piano e sola mentre penso, sento e canto
con la Luna, anche Lei sola, bianca, grande Luce bianca.
13. Dove sei
testo e musica di Oriana Civile
Quanto manchi quando sei lontano da me?
Neanche Cristo sa più dire l’Ave Maria
e il petto batte forte nel cassetto della vita
e il pensiero si confonde nella testa ormai impazzita.
Se avessi i tuoi fianchi, li vorrei incastrare
tra i miei piedi spasimanti che non vogliono riposare.
Le mie mani si inzuppano del sudore che stilla
e là sotto canta e grida la ferita che ora è viva.
Fiume bianco, scorri e vola tra il petto e il basso ventre;
scende lento e forte brucia, sembra cera che si scioglie.
Mi consolo piano e sola mentre penso, sento e canto
con la Luna, anche Lei sola, bianca, grande Luce bianca.